Si potrebbe pensare a un gioco tra bambini per le colline tra Colli del Tronto e Castorano.
Ma dietro queste due semplici parole si celava il comando per andare a nascondersi con gli animali in fondo al fosso Pescolla, vicino la vigna portandosi dietro la sorella: lei 9 anni e la sorella più piccola 8.
Era il tempo della seconda guerra mondiale e bisognava preservare le poche risorse a disposizione: gli animali e le scorte alimentari. I soldati nazi-fascisti passavano e dove percepivano abbondanza confiscavano. Cosi Filomena era incaricata di fare da guardiana agli animali, anche per due giorni consecutivi, portandosi dietro le cose da mangiare raccolte in fazzoletto: impensabile oggi lasciare due bambine piccole, per quanto vicino casa, fuori di notte, da sole.
Piccola e doverosa introduzione per capire meglio quello che poi diventerà questa donna, segnata fin dall’infanzia, primogenita di cinque figlie femmine, a rivestire un ruolo che di norma riguardava i primogeniti maschi: esperienze, situazioni che l’hanno indurita caratterialmente perché doveva dimostrare di valere quanto un maschio, con in più le incombenze che spettavano alle donne di casa, dare una mano in cucina, accudire le sorelle più piccole, star dietro agli animali.
Andando controtendenza anche nel matrimonio: solitamente le figlie che si sposavano andavano a vivere nella casa del futuro marito. Lei al contrario è rimasta nella casa paterna per il forte legame con la famiglia e in particolare col padre, trovando in Livio il compagno ideale con cui costruire una famiglia.
Si parla tanto di emancipazione delle donne, di quanto ancora oggi sia forte il divario nella parità dei generi: noi abbiamo avuto un esempio di abnegazione, di dedizione totale alla famiglia e a quello che le era stato tramandato dal padre, con tutti i pregi e con tutti i limiti. È il racconto di una donna apparentemente dura, ostica, senza peli sulla lingua ma che sapeva benissimo cosa voleva e come farsi rispettare, andando diritto al sodo.
Il rispetto prima di tutto
Con suo marito lavoravano da mezzadri come si faceva a quei tempi. Riuscirono a riscattare quei terreni con grandi sacrifici e impegni: una vita sotto padrone e finalmente essere loro i proprietari di quei terreni che erano la loro casa per quanto conoscevano bene.
Altro aneddoto: aveva già superato i 65 anni, si era accorta che un vicino raccoglieva senza permesso prodotti dall’orto. Una notte si appostò per ore per coglierlo sul momento e soprattutto per ribadirgli che se avesse avuto bisogno glieli poteva chiedere, lei glieli avrebbe pure dati. Ma prenderli cosi, no: un conto è essere buoni un conto farsi prendere in giro. E lei questo lo aveva ben chiaro fin da piccola: essere donna significava dover stare un passo dietro all’uomo. Come anche lavorare sotto padroni significava dividere i proventi del loro lavoro nei campi e la parte migliore che fosse della terra, o di animali andava sempre ai padroni.
Parliamo di un’altra epoca che a qualcuno potrà apparire romanzata: ma l’Italia rurale tra le due guerre e subito dopo la seconda guerra mondiale era caratterizzata da uomini e donne che conoscevano il senso della fatica e della sopportazione e chi ha parenti vissuti durante quel periodo ha di che raccontare.
Tutta d’un pezzo, anche quando morì nonno manteneva riserbo e contegno, soffriva ma non lo dava a vedere. Negli ultimi anni costretta sulla sedia rotelle, un giorno in cantina mentre si stavano preparando i vini da spedire, seguiva con lo sguardo assorto tutto il lavoro e guardando le bottiglie con le etichette, si commosse: il riscatto di una vita, di stenti, di duro lavoro, di sacrifici, si realizzava nella presa di coscienza che il lavoro che lei e il marito, e prima di lei il padre, avevano fatto non solo non era andato perso ma si era trasformato in qualcosa che neanche lei avrebbe mai immaginato. Da quando avevano comprato la proprietà in cui per anni avevano lavorato da mezzadri e avevano iniziato a vendere per necessità il vino sfuso, a vedere delle bottiglie con la scritta Vigneti Vallorani e un fienile trasformato in quella che era stata la prima sala degustazione, beh è stato un bel percorso. E la cantina era ancora all’inizio.
L’amore per la genuinità e la salubrità dei prodotti che venivano dalle loro terre nasceva da una consapevolezza molto pratica: col tempo nonno Livio e nonna Filomena avevano avviato anche una piccola bottega e pur vendendo, tra l’altro, dolciumi e merendine come se ne trovano tante oggi, ai nipoti dava sempre pane fatto in casa, metteva un filo d’olio proveniente dai loro uliveti e lo spalmava col dito, e se volevamo qualcosa di dolce aggiungeva il pomodoro con lo zucchero di sopra. Non ci ha mai dato merendine perché questo era il suo ragionamento: “Se io faccio una torta e tra una settimana non è più buona, tu pensa che cosa ce metteranno dentro le merendine per farle durare anni!”
Faceva credito nella sua bottega a chi non poteva, segnava nel quaderno e a fine mese pagavano: raccontava di come, nel dopoguerra quelli che erano stati i loro padroni, persero molti dei loro beni, forse per investimenti sbagliati, e finirono sul lastrico riducendosi pure loro a farsi segnare le cose sul libretto quando andavano a bottega da nonna, cosa che lei non faceva mai pesare, e questo lo raccontava come monito affinché si rimanesse sempre coi piedi per terra e non si desse mai nulla per scontato.
Era di poche parole: se dava un orario bisognava rispettarlo. I figli avevano sempre obbedito per non rischiare di prenderle. I nipoti godevano di maggiore elasticità ma se la nonna dava un orario di rientro, quello doveva essere. Rocco racconta un aneddoto a riguardo: era estate e faceva caldo ed aveva concordato di rimanere a giocare con gli amici fino a tardi. La nonna aveva dato come rientro la mezzanotte. Rocco a quell’ora beatamente giocava a pallone con gli amichetti, quando poco dopo la mezzanotte scorse la figura della nonna che immobile lo fissava, brandendo in mano un ramo di vinco: dal correre dietro la palla al correre verso casa per non sentire lo schiocco del ramo sul fondoschiena fu un attimo. Non le servivano molte parole.
Non potevamo non dedicare a nostra nonna il nostro Montepulciano in purezza caratterizzato da 20 giorni di macerazione da vigne vecchie con basse rese. Prodotto solo nelle annate che reputiamo più espressive per questa tipologia, lo lasciamo affinare per 24 mesi in piccoli tini di rovere e tutto il tempo necessario in bottiglia affinché perda la sua scontrosità per rivelarsi nella sua essenza più docile, esattamente come nostra nonna. Poche bottiglie in tutto, l’annata in uscita è la 2015.
Colore impenetrabile, sorso deciso, rustico, note di prugna, humus, frutta sotto spirito, è un vino inizialmente scontroso, non è un vino per tutti ma per chi ne apprezza l’intensità gustativa.
È in purezza che esprime la sua eleganza: grazie anche al lungo affinamento che lo libera dalle sue asperità; impenetrabile richiede un tempo necessario per essere compreso: impieghiamo più tempo e piano piano ci si accorge di sfumature diverse che ci permettono di entrare in connessione e coglierne la sua essenza.
È un vino che richiede un tempo necessario per essere capito e apprezzato: è come con le persone, con alcuni ci troviamo subito in sintonia, come con certi vini che beviamo in quantità senza impegno, magari alla fine lasciano poco; con altri capita invece di provare quasi antipatia salvo poi ricredersi, parallelamente a certi vini chiusi, quasi imbevibili ma piano piano si insinua la curiosità di andare oltre la prima sensazione, si compie quella piccola magia di cogliere la bellezza e la profondità di sfumature, andare oltre l’apparenza per raggiungere il nucleo fondamentale.
Nell’etimologia greca al nome Filomena (Philumene) gli studiosi danno due significati: amico fedele ed amico della forza. In entrambi i casi due concetti che raccontano alla perfezione sia il carattere di Filomena che quello di questa riserva.
In etichetta “Ombre 10” di Vincenzo Lopardo, artista locale.