La storia di nostro Nonno Livio non è sensazionale, glamour: è la storia di un qualsiasi altro nonno che con pochi mezzi si è dato da fare per costruirsi un futuro nell’immediato secondo dopoguerra del secolo scorso, non un eroe nazionale, ma l’eroe che molte famiglie hanno avuto.
È una premessa dovuta al rispetto storico di fatti che socialmente hanno riguardato tutti noi, su più livelli, e che hanno definito il percorso sociale del nostro Paese.
Livio era un contadino, è arrivato alla terza elementare. Poi la guerra, l’arruolamento coatto in qualcosa che un giovane italiano della sua età sapeva a malapena pronunciare, lui come tanti altri. Mandato in Grecia a sorvegliare zone di guerra. Rientrato dopo un anno con tosse asmatica. Giovani mandati allo sbaraglio, ieri come oggi: copioni che si ripetono nel tempo, seppur in contesti e scenari diversi.
Probabilmente starai leggendo questa storia da uno smartphone. Lo stesso da cui ci colleghiamo con il mondo in una rete, in una connessione continua e costante che paradossalmente talvolta ci isola proprio dagli altri; e da cui guardiamo al mondo e allo scorrere incessante di notizie di guerre. Cambia l’epoca, la scenografia ma sembra quasi lo stesso copione.
Livio è l’uomo che ha cercato di scrivere il suo di copione, partendo dal basso, lavorando come mezzadro per conto terzi. Fino ad arrivare al riscatto di quel pezzo di terra su cui tanta fatica e sudore ha riversato. Quando il vecchio proprietario ha messo in vendita i terreni Livio non aveva con sé tutto il capitale necessario all’acquisto. La banca aveva concesso un prestito solo per la metà della somma. Nulla da fare. Ma se quel pezzo di terra per te è vita e ci campi la tua famiglia con quattro figli non puoi darti per vinto!
E qui entra in scena quello che oggi sembra realmente un film in bianco e nero fatto sui buoni propositi e sui buoni sentimenti. Salvo che quello stiamo per raccontare corrisponde al vero, a un pezzo di tessuto sociale che dava alla parola solidarietà un significato profondo cui oggi non siamo più abituati se non nella richiesta di donazioni costanti ai vari SMS: Livio ha cominciato a chiedere credito presso i suoi amici e conoscenti. Godendo della reputazione di uomo di rispetto e per la sua serietà, sempre presente quando c’era da aiutare qualcuno, è riuscito a raggiungere la quota mancante grazie proprio alla solidarietà dell’epoca. La cosa straordinaria era che tutto si svolgeva sulla fiducia: la parola data e la stretta di mano. E il rimborso del prestito avveniva in ordine prioritario di importanza e non di quantitativo: chi era in necessità, pur avendo prestato poco, veniva onorato prioritariamente. L’aiutarsi era un valore sociale possente che permetteva di costruire reti solide e spontanee di solidarietà di cui oggi possiamo soltanto leggere, come in questo preciso momento: quante cose sono cambiate, da allora!
Il vecchio proprietario per legge di prelazione non solo verso i confinanti ma anche verso i propri mezzadri s’era rivolto a Livio affinché firmasse il nullaosta per vendere i terreni ad altri. Livio con orgoglio si è rifiutato perché l’acquirente sarebbe stato lui: il futuro della sua famiglia adesso aveva qualche certezza in più e allo stesso tempo dovettero tutti rimboccarsi le maniche.
I terreni dediti ai seminativi videro progressivamente un cambio di destinazione: Livio aveva solo la terza elementare ma capiva il valore sotto i suoi piedi perché era quotidianamente nei campi e quotidianamente ne respirava le polveri. Non crediate siano state solo rose e fiori.
Aveva intuito che bisognava aumentare la produzione dell’uva e conseguentemente del vino e poiché si era dotato di una Lambretta per andare a vendere i prodotti che aveva coltivato, aveva preso l’abitudine di informarsi sul tipo di uve e barbatelle adatte da piantare nel suo terreno, conversazioni che avvenivano secondo un preciso rituale: ognuno faceva assaggiare all’altro il proprio vino, non una gara ma un confronto. Accadeva più di sessant’anni fa e le parole clone, varietale, zonazione, terroir erano al di la dal venire e tra contadini lo scambio empirico era alla base di tutto. E così Livio con la terza elementare aveva dimostrato buon senso imprenditoriale e scelto accuratamente i vitigni di sangiovese da piantare.
Gli stessi vitigni che sono fedeli testimoni della caparbietà, la forza di volontà e gli enormi sacrifici di un uomo e della sua famiglia per riscattarsi da un destino che rifiutava di subire: esempio che è arrivato fino a noi nipoti e che cerchiamo di viverlo nella nostra quotidianità e in quello che è l’andamento stagionale di queste viti anziane che trattiamo con reverenzialità, come signore di una certa età cui ci si rivolge con rispetto imparando ad ascoltarne le esigenze. Sono vigne dal corredo cromosomico di 60 anni fa, difficilmente replicabili come patrimonio genetico e dalle uve qui prodotte annualmente produciamo il Polisia e il Konè.
Solo nelle annate che noi reputiamo migliori per il livello di maturazione, acidità e zuccheri complessivi presenti nei grappoli, produciamo un numero limitato di bottiglie SorLivio dedicato al Nonno, omaggiandolo dell’appellativo Sor che dalle nostre parti era riservato solo ai proprietari, ai padroni. Un affinamento all’incirca di quattro anni per metà in fusti di rovere francese e per metà in bottiglia.
E quest’ultima annata, premiata col massimo riconoscimento dalla guida dell’AIS, Vitæ, con le Quattro viti, avrebbe commosso e soprattutto inorgoglito Livio per il lavoro compreso e portato avanti dal figlio prima e dai nipoti dopo, ne avrebbe apprezzato l’eleganza, la tensione in crescendo della freschezza e dell’acidità di questo vino, sangiovese in purezza prodotto nel Piceno, che accompagna la tavola senza mai essere invadente ma prendendosi cura degli invitati, accompagnandoli in una bevuta, consentiteci di definirla, dal sorso emozionale. Il racconto liquido di un riscatto, fatto di sacrifici e promesse: esce dalla bottiglia per raccontare di Livio Vallorani ed entra nel bicchiere di ciascuno di noi per farci apprezzare invece quelli che sono i nostri eroi personali, della nostra famiglia o della nostra vita per brindare a loro. Perché è questo che nostro nonno avrebbe desiderato più di qualsiasi altra cosa: bere alla salute di tutti con semplicità e fraterna condivisione.
Grazie Nonno per quanto hai fatto.
E, soprattutto, grazie a te per essere arrivato fin qui nella condivisione del racconto di questa piccola parte di Italia.